Cenni Storici
LA SEDE DEL CENTRO UNIVERSITARIO PADOVANO: PALAZZO TREVISAN-MION
I PRIMI SECOLI
In questo contesto anche la chiesa locale era mirata a restaurare una spiritualità debole e sconvolta: viene eretto il monastero di San Bernardino ad opera di alcune monache francescane, in un lembo di terra periferica, andando ad unirsi con il nucleo più antico della città.
Sarà proprio in quest’area, contrà san Bernardino, confinante con il monastero, che sorgerà Palazzo Trevisan, documentato già dal 1488.Il primo residente del palazzo è Benedetto Trevisan. I Trevisan erano una nobile famiglia di Padova, i cui membri erano ricchi possidenti di fabbriche rurali, di numerose chiusure di campi, sparsi nel territorio veneto, e di poste di mulini sin dal XIV secolo.
La configurazione planimetrica del palazzo, consistente nell’unione di due corpi di fabbrica, uno principale, che si affaccia sulla via, e uno secondario, interno alla corte, in posizione ortogonale rispetto al primo, sono molto probabilmente il risultato dei lavori di ristrutturazione che la famiglia, con Nicolò Trevisan aveva intrapreso all’inizio del XVII secolo, dando inizio a non pochi problemi per quanto riguarda i confini murari con l’annesso monastero e le conseguenti controversie legali.
Aspetto caratterizzante nei continui passaggi di proprietà tra i vari eredi, nel susseguirsi dei secoli, a partire dai figli e dal fratello del sopracitato Benedetto, è l’interesse comune della famiglia nel mantenimento dell’integrità strutturale e funzionale dell’edificio “dominicale”.
Queste successioni e passaggi avvengono in particolare durante la prima metà del XIX secolo, nel periodo dell’occupazione austriaca, che tra l’altro vedrà la demolizione della chiesa e del monastero di San Bernardino.
DAI TREVISAN AI MION
Dalla consultazione del Censo Stabile del Catasto Italiano si evince che all’inizio del XX secolo l’immobile è registrato come palazzo dalle diverse destinazioni d’uso: una parte padronale e un’altra con uffici, garage e giardino data in affitto.
Quando Romeo Mion, già vedovo, muore nel marzo del 1935, il palazzo di via Zabarella viene ereditato dal fratello Alceste, dottore di chimica, laureato all’università di Padova. Gli anni della guerra, tra 1938 e il 1945, videro la stessa università coinvolta nelle lotte partigiane attraverso l’azione di studenti e insegnanti. La città, trovandosi in alcuni quartieri quasi polverizzata dalle bombe, viene coinvolta in un progetto di ricostruzione e trasformazione.
Seguono gli anni della ripresa economica e di fervente rinnovamento urbano e sociale. In questo quadro di trasformazione cittadina, riemergono però ancora una volta per palazzo Trevisan-Mion, problemi inerenti ai confini di proprietà, concluse sempre per vie legali.
IL LASCITO DELLA SIGNORA BISOTTI
Dopo aver destinato diversi milioni alle due case di pena e numerosi legati anche all’Università, attraverso l’istituzione di numerosi premi per le borse di studio tuttora esistenti, nell’ultima volontà testamentaria della signora Bisotti, in onore del marito Alceste Mion, si legge: “lascio il Palazzo in Padova, via Zabarella n. 26, all’Istituto Configliachi per i ciechi di Padova” scorporando il mobilio e l’arredamento ai congiunti rimasti.
L’Istituto Configliachi, pur compiacendosi del lascito, decide però di vendere all’asta l’immobile, molto probabilmente per la grande necessità di denaro necessario per far fronte alle diverse opere assistenziali a favore dei ciechi.
La vicenda della vendita di un palazzo così antico nel cuore del centro storico, destava però una forte preoccupazione negli ambienti culturali padovani; preoccupazione di tutela rivolta a mantenere l’integrità storica e architettonica e ad evitare che il palazzo fosse trasformato da secolare ambiente residenziale in moderni uffici o altro.
Così l’allora Soprintendenza ai monumenti di Venezia invitava l’Istituto a tenere presente gli articoli della legge in materia di alienazione di immobili vincolati, i quali potevano essere alienati solo dopo la preventiva autorizzazione del Consiglio Superiore delle Antichità e dei Beni Ambientali. Inoltre, sempre sotto disposizione di legge, non poteva subire alcuna modifica sia esterna che interna senza la preventiva autorizzazione della Soprintendenza.
IL PROGETTO DELLA CHIESA DI PADOVA
Una serie di edifici adatti al progetto risultavano disponibili per un acquisto da parte della Curia Vescovile Padovana, senonché l’apertura ad una trattativa privata da parte dell’Istituto Configliachi per palazzo Trevisan-Mion, a seguito dell’insuccesso dell’asta, fece protendere la Curia all’acquisto di questo palazzo. Si costituisce così il CENTRO UNIVERSITARIO.
Tuttavia solo dopo sei lunghi anni di burocrazia per la trattativa e dopo il riconoscimento da parte del Consiglio di Stato, il 12 luglio 1974, veniva denominato il “Centro Universitario Padovano” con la firma dell’allora vescovo, il Mons. Magarotto.
Il Centro universitario nasceva così, prendendo spunto dal decreto conciliare Gravissimum educationis che richiedeva presso le università la formazione di centri dove sacerdoti, religiosi e laici potessero offrire assistenza spirituale e intellettuale ai giovani. Palazzo Trevisan-Mion vede dunque in questi anni un radicale cambiamento nelle destinazioni d’uso: da “casa per pochi” a “casa dell’accoglienza universitaria”.
Il Centro fin dal suo inizio venne affidato alla cura e alla direzione di don Cristiano Bortoli, al quale vennero associati in seguito altri sacerdoti come don Albino Bizzotto e poi don Giovanni Brusegan. Per questa nuova destinazione del palazzo, tra i vari rinnovamenti, nel 1973 veniva realizzata una cappella a piano terra (spazio oggi situato nella cripta), dove un tempo erano dislocati gli ambienti dell’attività amministrativa dei vecchi proprietari Mion.
Il piano nobile, con la sala principale e le altre sale adiacenti invece, venivano adibite rispettivamente a sala dibattiti e aule studio per gli studenti universitari (come ancora oggi).
IL CENTRO UNIVERSITARIO OGGI
Il Centro universitario, sia nella sua struttura fisica che in quella spirituale e culturale, si è sempre posto come “casa per il dialogo”, offrendo proposte aperte al mondo teologico e sociale e alle esperienze di spiritualità, invitando e accogliento nei suoi ambienti preziosi ospiti, tra cui David Maria Turoldo, Enzo Bianchi, Gianfranco Ravasi, Bernard Häring, Dacia Maraini, Paolo Ricca Erri del Luca, Vito Mancuso, Massimo Cacciari, solo per citarne alcuni pochi.
Nell’offrire nuovo spazio vitale alle “necessità umane di relazione e di dialogo alla luce della Parola di Dio” in ambito universitario e non solo, la realizzazione del Centro suggella quella funzione caritativa che la stessa Signora Bisotti esprimeva nelle sue ultime volontà, devolvendo inoltre parte dell’eredità proprio al mondo universitario con l’istituzione di numerosi premi.